venerdì 31 marzo 2017

Diario - 30 marzo 2017


Calata al Cacch'v

Discesa in corda doppia alla grotta del Cacch'v - by Indio e Maurizio Lofiego



Era da tempo che volevamo fare una calata al Cacch’v, la mitica grotta conosciuta dai pastori e dai cacciatori di un tempo. Finora avevamo esplorato l’interno e il foro sommitale in due diverse escursioni. Con la calata abbiamo potuto fare una discesa integrale unendo i due percorsi. Arrivati all’ingresso prepariamo l’attrezzatura. E’ una discesa delicata, ogni manovra deve essere valutata con attenzione. In primo luogo avvolgiamo la mia mezza corda di 30 metri attorno ad un albero per arrivare al punto in cui dobbiamo fissare la corda di 60 metri, con cui ci caleremo nella grotta dall’ampio foro sommitale. Maurizio si assicura alla corda e si cala in doppia fino al grande albero su cui fisseremo la corda lunga, avvolge una fettuccia e tramite una longe si assicura all’albero creando una sosta; solo dopo che ha fatto questo si sgancia dal discensore.


Poi scendo io, sempre in doppia sul ripido pendio per portargli la corda lunga, che ho sullo zaino. Mi aggancio anche io all’albero. Srotoliamo insieme la corda e la buttiamo giù. “Fa impressione anche solo buttare la corda là dentro”, afferma Maurizio. Ed è così, il Cacch’v visto dall’alto fa un’enorme impressione ed è certo che in questi casi non si possono sbagliare le manovre, perché si rischia davvero “l’osso del collo”. Il Cacch’v era il recipiente usato dai pastori per bollire il latte, di forma cilindrica. In questo caso abbiamo a che fare con un cilindro di una trentina di metri, quasi a forma di imbuto. Preparo il discensore e comincio a calarmi, un passo alla volta. Qualche pietra inevitabilmente rotola giù, finendo nella grotta con un rumore ritardato. Qualche anziano mi ha raccontato che da giovani i pastori si divertivano a buttare le pietre dall'alto per sentirle rotolare giù per diverse decine di metri.

Arrivati sull’orlo della grande apertura circolare, sappiamo che non potremo più tenere i piedi alle pareti e dovremo calarci nel vuoto per una quindicina di metri. E’ il momento più adrenalinico della discesa. Ci sono finalmente, è ora di staccarmi dalle pareti; il movimento mi viene un po’ brusco e sbatto con il ginocchio sinistro, ma non forte; la corda si tende, resto sospeso nel vuoto. In realtà calarsi nel vuoto appesi "ad un filo" è più facile e comodo rispetto a quando si tengono i piedi alla parete; averne timore è per lo più un fatto psicologico. Arrivato giù, grido a Maurizio che sono sceso e mi sono staccato dalla corda. Mi allontano dall’apertura, perché Maurizio smuoverà delle pietre che potranno cadere... e così succede. Maurizio da sopra mi grida che cascano le pietre, ma lo tranquillizzo perché sono al riparo sulle pareti sul lato destro della grotta. Accendo l'action-cam e la macchina fotografica, per riprendere la scena, fra un po’ Maurizio sarà dentro: arriva, sembra stare a testa in giù come un pipistrello. Eccolo staccarsi e scendere sullo sfondo del cerchio illuminato dell’apertura circolare, che contrasta con la scarsa luce dello "stanzone" interno della grotta.
Recuperiamo la corda, facciamo una sosta e poi ridiscendiamo: ci attendono altre due calate in doppia più facili, l’ultima delle quali difficoltosa per la presenza dei rovi. Stavolta usiamo la mezza corda da trenta metri. Mentre mi calo mi fermo dove posso e con il coltellaccio a taglio i rami delle spine, per agevolare la discesa del mio compagno. E’ un misto di speleologia, alpinismo ed escursionismo su terreno impervio e selvaggio, l'escursione di oggi.
Ma al di là dell’adrenalina e dei dettagli più tecnici di questa discesa, le osservazioni naturalistiche non sono mancate durante l'escursione: a cominciare dall’avvistamento di una grossa fatta di lupo, del merlo acquaiolo e di una coppia di corvi imperiali, oltre alle fatte ed impronte di cervo. Quel che conta è vivere la natura nel suo stato di wilderness, cercare sempre l’avventura, indipendentemente dall’attività praticata.



Video 

(https://www.youtube.com/watch?v=IVpstrkvpeE&feature=youtu.be)
 





mercoledì 15 marzo 2017

Diario - 14 marzo 2017

Quando la montagna chiama e respinge: sotto le selvagge pareti est di Serra delle Ciavole  

Itinerario: Gole di Iannace, Grande Porta, pareti est di Serra delle Ciavole (cascata e imbocco via normale), Casino Toscano, Pietra Castello, Piano Iannace, Canalone) - by Indio e M. Lofiego


Per gli amanti della wilderness, più certi ambienti sono selvaggi e maggiore è loro richiamo. E il richiamo delle spareti est di Serra delle Ciavole si faceva da un po' di tempo sentire. Con Maurizio  avevamo già percorso l'impegnativa via normale alla parete est, in autunno. Ma ci andava di ritornare a  respirare le atmosfere invernali di questo versante: il ghiaccio, la neve che ricopre i ripidi pendii sugli strapiombi e i canali, i pini loricati che svettano sulle ripide pareti rocciose. Sapevamo che di questi tempi l'escursione sarebbe stata un'impresa delicata: con temperature non troppo basse, l'azione del sole e l'esposizione ad est, quel versante diventa impegnativo, per la presenza di neve che può diventare marcia già a metà mattinata. Era d'obbligo  partire di notte, per tentare di raggungere la base delle pareti il più presto possibile, sfruttare la consistenza della neve ghiacciata e cercare di arrivare in cima. Tentativo fallito (ma ci aspettavamo questa eventualità), come si vedrà.  Poco male: anche solo ammirare dal basso le spettacolari pareti di questa montagna ricompensa dei sacrifici e della lunga marcia sulla neve per arrivarci.


Alle 3 di notte siamo già sul sentiero, percorrendo le Gole di Iannace mentre i raggi lunari illuminano le rocce e l'ombra degli alberi si proietta sulla neve. Giunti a Piano Iannace possiamo fare a meno della lampada frontale, la luna come un lampione rischiara le tenebre e quasi ci conforta... Qui l'aria è calma, non fa freddo, non c'è un alito di vento. La neve è ghiacciata, si procede speditamente. Giunti verso la Grande Porta, comincia ad albeggiare, mentre il vento gelido ci secca la faccia.


Cominciamo a costeggiare le pareti della cresta nord di Serra delle Ciavole, che ci sovrastano quasi minacciose,  ammirando la faggeta selvaggia e procedendo ora in salita e ora indiscesa sui pendii, abbondantemente innevati. Ogni tanto, disseminati nella foresta, si notano massi enormi, evidentemente precipitati chissà quando dalle pareti per centinaia di metri.



L'escursione di oggi ha per noi anche un valore esplorativo, visto che da queste parti non c'eravamo ancora stati; infatti intravediamo per la prima volta uno spettacolare fenomeno naturale di cui avevamo già sentito parlare: la cascata di ghiaccio di Serra delle Ciavole alta un centinaio di metri (considerata come la più a sud presente in Italia e scalata nei mesi scorsi da un gruppo di alpinisti). Ancora non si è sciolta, ma sembra attualmente di scarso spessore.



Qui siamo negli ambienti più wilderness del Pollino, le pareti a strapiombo abitate da rade formazioni di piccoli e quasi sofferenti pini loricati ce lo dimostrano. Luoghi che in qualche modo si difendono da sè, una natura che mette alla prova e sembra quasi respingere l'uomo e il suo desiderio di esplorarla.


Giungiamo all'imbocco della via. Purtroppo non siamo riusciti ad arrivare prima delle otto e mezza, ma la neve qui è già marcia, complice anche la temperatura più mite della giornata di oggi. La nostra caparbietà stavolta non è servita. Saliamo lungo i ripidi pendii, la neve è poco compatta, è facile scivolare e lo stesso innevamento delle zone attraverso cui dovremo passare per seguire la via (che in gergo alpinistico viene chiamata la "Via dei Moranesi) è scarso. L'esposizione è notevole e in questi casi non si può sbagliare. Anche la via normale che in autunno eravamo riusciti a fare senza troppe difficoltà, nonostante alcuni punti esposti e il terreno accidentato, oggi ci sembra assolutamente da evitare.


Avanziamo lungo il pendio per valutare meglio la situazione,  ma siamo perplessi e ci siamo già convinti che forse è meglio desistere nella prosecuzione dell'ascesa. La parola definitiva ci viene dalla montagna. Dalle pareti sovrastanti di fronte a noi, non tanto lontane, non si staccano solo frammenti di ghiaccio ma anche delle pietre, sotto l'azione del disgelo. Eccone una di quelle pietre, piccola, dopo un po' eccone delle altre. Il rumore sordo che fanno somiglia a un monito, un avvertimento. La montagna sembra parlare, "tornate sui vostri passi", sembra dirci. Ed è così che facciamo. Scalare una montagna di certo è sempre qualcosa di adrenalinico ed entusiasmante, ma anche la rinuncia è doverosa di fronte a difficoltà e pericoli oggettivi. In realtà è poco ciò a cui abbiamo rinunciato: siamo estasiati da ciò che ci sovrasta e restiamo ad ammirarlo. Di tanto in tanto ci fermiamo, distratti, silenziosi... quelle pareti, quei ripidi canali innevati, i loricati inavvicinabili, i pinnacoli di roccia più in alto... tutto contribuisce a creare uno scenario di vera wilderness appenninica.


Notiamo penzolanti dalle pareti in alto delle gigantesche stalattiti di ghiaccio. Ridiscesi sui nostri passi osserviamo altri fenomeni  interessanti, come il tronco di un pino loricato carbonizzato, spezzato in due e colpito da un fulmine. A Maurizio ricorda (non so perché!) una signora vestita a lutto con le braccia sollevate. Oppure il pino appollaiato su uno spuntone di roccia divisa quasi in due da una spaccatura.



Togliamo i ramponi e rimettiamo le ciaspole. Non ci va di tornare per la stessa strada e visto che a noi piace complicarci la vita, decidiamo di allungare l'escursione, diretti a Pietra Cstello.  Arriviamo a Casino Toscano, l'antico casolare di pastori che purtroppo noto sempre più sporco, pieno di rifiuti e in disfacimento.  Una struttura che se ristrutturata secondo i canoni tradizionali e affidata alla gestione di qualche associazione come il CAI, potrebbe fungere da rifugio per gli escursionisti. Purtroppo in questo Parco si costruiscono a volte mastodontiche opere inutili e si lascia cadere a pezzi la memoria storica delle genti del Pollino...



Dopo una lunga marcia nella foresta si arriva a Pietra Castello e da lì ci ricolleghiamo a Iannace per tornare alla macchina lungo la scorciatoia del "Canalone": in tutto, abbiamo camminato circa 14 ore: un'altra avventurosa escursione  si aggiunge al nostro bagaglio di ricordi.





venerdì 3 marzo 2017

Versante est e cresta nord di Serra di Crispo

Escursione al versante est di Serra di Crispo, discesa dalla cresta nord, assieme a Maurizio Lofiego - foto by Indio