venerdì 29 aprile 2016

Diario - 27/28 aprile 2016

"Sopralluoghi": dal Pollino all'Orsomarso (con Nino Larocca)

Colle Dragone, Campo Tenese, Piano di Masistro, Piano di Novacco, Tavolara, Valle della Sepe, Verbicaro

Uno scorcio dei Monti dell'Orsomarso, una wilderness meravigliosa

Sono circa le sette e mezza, sono sveglio ma ancora nel letto. Sento il telefono squillare. E' Nino, cosa vorrà mai? Rispondo e dice che sta venendo in macchina con Giustiniano da San Lorenzo, passeranno per casa mia per salutarmi. Mi invita anche ad andare con loro, vanno a fare un sopralluogo fin oall'Orsomarso per le prossime edizioni di "Natura e cultura sui sentieri dei briganti". Visto che sono libero gli dico di sì. Arrivano, prendiamo un caffè a casa mia, metto in fretta nello zaino un sacco a pelo e qualche ricambio e preparo l'equipaggiamento da escursione. Giustiniano, presidente dell'Associazione "I Ragazzi di San Lorenzo Bellizzi" (di cui faccio parte) farà da autista, ci accompagnerà agli imbocchi dei sentieri da percorrere e registrare sul GPS per poi attenderci a valle nelle strade e nei paesi. (Per chi non lo sapesse Nino Larocca è guida ufficiale del Parco nonchè speleologo del Gruppo Speleologico Sparviere)
Colle del Dragone, col Presidente Giustiniano Rossi - foto di Nino Larocca

La prima tappa è una vecchia mulattiera che da Colle Dragone conduce a Campo Tenese. Usciti dalla faggeta il panorama si apre a nord sulle rupi del Timpone Viggianello con magnifici pini loricati e verso sud sull'ampia vallata di Campo Tenese.  E' qui che siamo diretti. Notiamo nel paesaggio brullo e roccioso begli esemplari di ginepro e macchie di lavanda, che in queste rocce assolate cresce selvatica. 




La sorpresa più grande sono i ruderi di una struttura imponende che da quel che ipotizziamo, per la forma architettonica, i blocchi scolpiti con cura e le arcate, potrebbe trattarsi di un antico convento. Chiederemo a qualche guida di Morano dopo aver terminato l'escursione. Come saprò dopo grazie alla guida Roberto Angelo Motta, si tratta dei resti di una segheria a vapore, una delle più grandi del Pollino. La segheria Corice risale al 1890 e poi fu ampliata dalla Rueping;  Ce n'è un'altra in località Acquafredda di Campotenese più piccola e ormai del tutto perduta. Altri ruderi interessanti sono quelli di un ovile, di pianta quadrangolare, con le stalle e un'alta casetta dove viveva il pastore, struttura completamente circondata dai muri, tanto che ricorda un fortino. 




Vediamo da lontano la panda di Giustiniano, ha capito bene dov'è il punto d'incotro stabilito...
Dopo aver mangiato un panino e un bicchiere di vino in un locale, Giustiniano ci accompagna all'imbocco della seconda tappa del percorso, quella che da Campo Tenese ci porterà al Piano di Masistro. La mulattiera, a tratti scavata nella roccia,  reca i segni dei greggi di migliaia di capi che probabilmente la percorrevano, è infatti molto larga. 

Sbuchiamo sopra Piano Masistro: il panorama è eccezionale, questo pianoro integro non percorso da strade è una meraviglia naturale e brilla del verde privaverile. Dalle "stelle", a poca distanza troveremo le "stalle": un brutto abbeveratoio di lamiera, due vecchie strutture di cemento abbandonate e una molto grande di recente costruzione, che ci pare un'altra cattedrale nel deserto, la quale stona incredibilmente con la bellezza di questi luoghi... 



Giustiniano intanto ci viene a prendere alla strada asfaltata e così andiamo al bel Piano di Novacco. Il rifugio è aperto, dormiremo e mangeremo qui. C'è ancora tanta luce e un escursionista di Saracena ci accompagna all'imbocco dei percorsi che portano a Tavolara. L'acqua dei torrenti costeggiati dalla strada forestale è cristallina, la ghiaia risalta nel letto e il fango è assente... Facciamo il sopralluogo a piedi dopo il cancello, la passeggiata risulta bella (a parte qualche brutto ponticello di cemento fatto forse all'epoca in cui il calcestruzzo aveva la forza del mito) ma lunga;  sceglieremo il percorso più breve che sale sulla sinistra prima del cancello. Al ritorno,  in macchina, notiamo un bel capriolo uscito al tramonto a pascolare, ancora con il mimetico mantello invernale. Ci ha visti ma non scappa e resta a mangiare le foglie tenere dei faggi.

Al mattino presto del secondo giorno, Giustiniamo parte con la macchina per Verbicaro, mentre noi ci avviamo a piedi. Avremo molto da camminare, per giungere a Verbicaro dovremo attraversare un'enorme foresta, cercando di non sbagliare strada per non perderci nella "prigione" di alberi. Lungo la strada notiamo esemplari monumentali di faggio e torrentelli dall'acqua limpida che attraversano la foresta. Saranno poche le occasioni in cui usciremo alla luce dal bosco, una di queste è la località Tavolara, un bel pianoro purtroppo sfregiato dal cemento di cunette, scalinate, edifici abbandonati assurdi, probabilmente frutto dei progetti speculativi degli anni Settanta... Da qui proseguiamo, in alto, ma dopo qualche tornante ci accorgiamo che il percorso che stiamo facendo non sembra corrispondere a quello della cartina, sia in termini di altitudine che di direzione. Capiamo che abbiamo sbagliato e torniamo indietro. Abbiamo perso un'ora... Nello zaino abbiamo qualche pacchetto di crackers e dei fichi secchi. Cosa si potrebbe mangiare nel caso ci perdessimo nella faggeta, mi domando. Le foglie tenere di faggio forse? Ne mangio qualcuna. "Mangi le frasche come le capre?" dice Nino. Eppure le foglie tenere non sono amare, ricordano vagamente il sapore dell'acetosella, perciò in casi estremi sarebbero buone... Intanto Nino ha chiamato il suo amico Antonio Brizzi di del gruppo speleologico "Mercurion" di Verbicaro, che ci dà delle dritte per arrivare al paese; ci raggiungerà più sotto col suo fuoristrada. Sempre proseguendo nella scura faggeta, usciamo finalmente al sole e incontriamo una radura erbosa popolata da migliaia di margheritine, che punteggiano di bianco il prato... 


Giunti ad una fontana, incontriamo Antonio. Per l'occasione, l'amico di Nino vorrebbe indicargli un inghiottitoio, posto in un pianoro d'alta quota, non tanto distante,  che si rivelerà il luogo più bello dell'intera traversata. Per giungervi saliamo lungo ripidi pendii popolati da monumentali esemplari di faggio, delle vere e proprie sculture viventi, alcune con le radici scoperte a causa delle pendenze. 

Ciò che ci colpisce di questo tratto di faggeta vetusta è la particolarità del muschio, scuro, che copre a chiazze i faggi, tali da farli apparire come "maculati", un aspetto che desta in noi meraviglia...



Lungo il sentiero si apre un punto panoramico da cui possiamo ammirare la selvaggia Valle dell'Abatemarco di cui avevo sentito parlare, e più lontano lo spettacolare Monte Trincello


Sbuchiamo in un pianoro molto panoramico, detto Valle della Sepe: appena mi affaccio capisco che sono giunto forse in uno dei luoghi più spettacolari del Massicci dell' Orsomarso, dal valore wilderness indiscutibile. Un luogo comunque abitato anticamente dai pastori, come si evince dai ruderi degli stazzi: uno di essi è stato ristrutturato con criterio in modo da ricavarne un piccolo e spartano bivacco per gli escursionsiti. Anche qui margheritine a non finire... 




L'impressione che si tratti di un posto unico diventa certezza quando Antonio ci conduce sull'orlo di un dirupo spaventoso, dove crescono abbarbicati monumentali pini loricati; sullo sfondo dominano Cozzo dell'Orso, gli impressionanti canaloni del Cozzo del Pellegrino e più lontana la Montea. Anche i faggi qui sono magnifici. Come fa notare Nino scherzosamente, sono già un tipo di poche parole e di fronte a tanta bellezza sono rimasto davvero ammutolito: il pensiero si perde in questi angoli di natura inviolata, è là, sui ripidi canaloni che d'inverno si ghiacciano, nei fitti ed impenetrabili boschi. Vago immaginariamente in solitudine per perdermi negli anfratti più aspri e selvaggi di questi monti... In fondo, a valle, si notano bene i ruderi di quello che doveva essere un esteso villaggio di pastori e contadini. La valle dell'Abatemarco è davvero maestosa...  In base ad una prima impressione, i Monti dell'Orsomarso da quel poco che ho potuto vedere hanno un'anima a sè, un'anima direi selvaggia e irriducibile. Mentre il Pollino fa pensare ad una wilderness maggiormente vissuta dall'uomo, ad una montagna più accessibile, qui le infinite faggete, i valloni e i crinali delle montagne colpiscono per la loro austerità, danno l'impressione di una montagna ancora tutta da esplorare... Ma si sbaglia forse a fare confronti, come dicevo prima queste entità territoriali hanno due "anime" diverse, pur se comprese nello stesso Parco...





Se abbiamo potuto godere di questi panorami è anche merito di Antonio Brizzi: come afferma anche Nino, per scoprire la meraviglia di certi luoghi e non perdersi è sempre preferibile affidarsi, come del resto dappertutto,  alla gente del posto che li conosce... in una parola alle guide; la duplice funzione della guida è quindi tecnica ma (soprattutto aggiungo io) culturale e di conoscenza del territorio, intendendo non solo gli itinerari classici o le cime, ma anche quei posti meno gettonati ma altrettanto meritevoli di attenzione e tutela. 
 
Nino Larocca e Antonio Brizzi

Ritorniamo sui nostri passi e Antonio ci accompagna col suo fuoristrada a Verbicaro, facendoci risparmiare parecchie ore di cammino lungo la strada sterrata che dalla montagna scende a valle snodandosi nelle belle campagne, con terrazzameti e qualche orto ancora coltivato. Prima però Antonio ci conduce in un altro belvedere, da cui si apre un panorama verso boschi e pareti rocciose in parte ancora inesplorate... 


I "sopralluoghi" che abbiamo fatto ieri ed oggi si sono rivelati una bella traversata a piedi che ci ha permesso di scoprire località ancora inedite per noi. Il "Presidente" Giustiniano ci aspetta al paese, dopo una mezz'ora passata in compagnia di altri amici di Nino ci avviamo verso Campotenese, passando per il paese di Orsomarso, diretti a casa mia, dove ci aspetta una meritata e lauta cena...


by Indio - foto di Nino Larocca

domenica 17 aprile 2016

Diario - 16 aprile 2016

 Esplorando gole e grotte...

"C'è questo senso di un mondo che rimane immutato nei millenni. Forse è anche consolante rispetto a tutti i cambiamenti rapidi che stiamo avendo nella società moderna. Il mondo esterno sembra di un dinamismo inquietante... Qui invece ritrovi quella dimensione di pace, di tranquillità, di serenità, di protezione nel grembo della Terra. Siamo proprio nel "grembo della Terra", letteralmente parlando..."  
(Giorgio Braschi)
Giorgio Braschi all'ingresso della "Grotta delle radici"
La giornata esplorativa di oggi era diretta al ritrovamento di una grotta della quale l'amico Giorgio si ricordava di aver esplorato solo l'ingresso non avendo torce o lampade frontali (vedere video allegato). Negli anni successivi l'aveva ricercata altre volte senza riuscire a ritrovare l'ingresso. La grotta in quest'occasione l'abbiamo ritrovata facilmente senza cercarla troppo, anche se è situata in una zona impervia, di non facile accesso. Ma nella giornata di oggi abbiamo esplorato anche altri angoli di natura selvaggia, ritornando inoltre a rivedere luoghi a noi cari come le gole di Fosso Carceri o i Monumenti sotto Piano Iannace.

La giornata è di una luce tersa, i boschi brillano del verde brillante e delle fioriture. La zona di Acquafredda-Frangiosso esplode delle fioriture dei "praini" (peri e meli selvatici). 








Ci portiamo fuori sentiero seguendo le tracce di antiche mulattiere ormai lasciate all'oblio della natura. Ci incuriosisce vedere se riusciamo a trovare il punto di distacco della frana che ha portato enormi massi sopra il sentiero che va a Iannace e che ha sradicato anche alcuni faggi e abeti. La zona è impervia e c'è da arrampicare tra le roccette... una sana ginnastica per i miei muscoli che ormai da mesi erano fermi, ma anche per la mente. Troviamo il punto di distacco della frana. La roccia calcarea qui è bianca, in effetti non ha subito le modificazioni dovute all'azione di modellamento dell'acqua... Il paesaggio sulla foresta è spettacoalre. Gli abeti bianchi che crescono su queste rocce sono tozzi, ricordano vagamente degli enormi bonsai. Più sopra si apre il Belvedere delle Gole di Iannace... Qui si può vedere la caratteristica forma a "V" delle gole. Sulla cresta rocciosa risaltano i fusti serpeggianti dei ginepri...









Sempre tenendo d'occhio rocce che potrebbero nascondere possibili ingressi sotterranei, ci avviamo verso la zona della grotta, arrancando verso l'alto. La zona è molto impervia.... Vado avanti io e dopo qualche minuto di perlustrazione mi capita di avvistare un ingresso. E' sicuramente quello della grotta di cui parla Giorgio! Intanto gli altri mi raggiungono. Noto la presenza di una diramazione in due cunicoli, prendo quello a destra per vedere dove va.  E' molto basso e devo per forza strisciare. Noto subito delle caratteristiche radici che penzolano o escono dalle concrezioni calcaree, e che daranno il nome a questa bellissima grotta. Il cunicolo da me esplorato sarà di una ventina di metri... Purtroppo arrivato in fondo capisco che non continua e devo tornare indietro. Strisciando torno verso l'ingresso e scendo nell'altro cunicolo per raggiungere Giorgio e Maurizio. Qui si può stare quasi in piedi. Le pareti e la volta sono particolari per formazioni calcaree a bolle, a "vaschetta", a "corallo" e per le piccole stalattiti che pendono dal soffitto con le goccioline d'acqua illuminate dalle nostre lampade fontali. Si notano escrementi di animali avvolti dalle muffe e i caratteristici ortotteri delle grotte, simili a cavallette. Le grotte sono davvero un'altra dimensione, colpiscono per il senso di mistero che si respira qui e per la sensazione di trovarsi in un luogo immutato da millenni...

foto di M. Lofiego
foto di M. Lofiego





Foto di M. Lofiego



Video dell'esplorazione della "Grotta delle radici"


Dopo aver esplorato altri buchi che però non conducono ad alcun ingresso, mettiamo nello zaino i nostri caschi e visto che è presto e abbiamo ancora tempo, ci dirigiamo verso altre mete: prima i   Monumenti, e poi per finire, lungo la strada del ritorno,  alla cascata delle Gole di Fosso Carceri. L'acqua è tanta ma riusciamo ad arrivare alla cascata più alta, stretta nella gola... Al ritorno, mentre scendo scivolo su un masso viscido e casco nella pozza: nulla di rotto, ma sono completamente fradicio dalla cintola ai piedi. Pazienza, son cose che succedono quando si va in esplorazione per gole e grotte!









by Indio